Il 22 Marzo del 1986 moriva Michele Sindona, banchiere, faccendiere e criminale italiano
Avvelenato da un caffè al cianuro di potassio mentre era detenuto nel supercarcere di Voghera, morì dopo due giorni di coma profondo. Omicidio o suicidio? La sua morte rimane un mistero. A metà degli anni settanta, aveva un patrimonio stimato in oltre mezzo miliardo di dollari dell'epoca.Siciliano, nato a Patti in provincia di Messina, figlio di un fioraio e di una casalinga, studia dai gesuiti e nel '42 si laurea in Giurisprudenza. Negli anni '60 si trasferisce a Milano e diventa amico di Joe Adonis, legato al malavitoso Lucky Luciano e alla famiglia Genovese, trasferitasi in Italia dopo l'espulsione dagli Stati Uniti. Nel 1961 Sindona compra la sua prima banca, la Banca Privata Finanziare, poi prosegue con la Fasco, holding con sede a Lussenburgo e ulteriori acquisizioni.
Nel 1967 l' Interpol statunitense segnala Sindona come implicato in: riciclaggio di denaro sporco, traffico di stupefacenti, legami con gli ambienti di cosa nostra. Le accuse di sospette manovre finanziare sono anche per alcuni membri e soci delle sue tante aziende.
Le autorità italiane in quell'occasione, risponderanno in merito di non aver riscontrato nessuna attività illecita da parte di Sindona
Nel 1969 inizia la sua associazione allo IOR la banca vaticana, entrata nella Banca Privata Finanziaria di sua proprietà. Enormi somme vengono spostate dalla banca di Sindona verso banche svizzere. Inizia così una speculazione su scala internazionale con le maggiori valute correnti.
Sindona passa dall'essere un mago della finanza internazionale a essere uno dei più grandi e potenti criminali. Nel 1974 la Giustizia americana avvia un procedimento giudiziario a suo carico, del suo braccio destro Carlo Bordoni e di altri suoi collaboratori per il fallimento della Franklin Bank e, nello stesso periodo, la magistratura milanese avanza formale richiesta di estradizione. Durante questa opera di controllo, Giorgio Ambrosoli, viene nominato dall'allora governatore della Banca d'Italia Guido Carli, a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana sull'orlo del crack finanziario, al fine di esaminarne la situazione economica prodotta dall'intricato intreccio tra la politica, alta finanza, massoneria e criminalità organizzata siciliana. Ambrosoli comincia perciò, a essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione, ma nonostante questo, conferma la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale di Sindona.
L'11 luglio 1979 Ambrosoli viene ucciso con quattro colpi di pistola dal malavitoso americano William Joseph Aricò, che aveva ricevuto l'incarico da Sindona stesso. Il delitto viene eseguito per rimuovere un ostacolo (ovvero Ambrosoli) alla realizzazione dei progetti di salvataggio delle banche, ma anche per terrorizzare il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia, oppositore del piano di salvataggio.
Nel 1980, Sindona viene condannato negli Stati Uniti per 65 accuse, tra cui frode, spergiuro, false dichiarazioni bancarie e appropriazione indebita di fondi bancari. Il tribunale federale di Manhattan, oltre alla pena detentiva di 25 anni di carcere, multa Sindona per 207 000 $
Mentre si trova nelle prigioni federali statunitensi, il governo italiano presenta agli U.S.A. domanda di estradizione affinché Sindona possa presenziare al processo per l'omicidio Ambrosoli. Sindona una volta in Italia, fa di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, è l'ennesimo tentativo. Quella mattina va a zuccherare il caffè in bagno e quando ricompare davanti agli agenti della polizia penitenziaria grida: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile l'ipotesi che la persona, fino a oggi ignota, che gli fornì il veleno, lo avesse manipolato in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.

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